Solitudine in Compagnia: Il Paradosso della Connessione Moderna
(Quando siamo insieme ma non ci sentiamo visti, emerge l’unica verità che ci unisce davvero: essere il cielo, non le nuvole.)
La sala gremita brulicava di anime in affitto,
corpi che pagavano in presenza
ciò che non potevano permettersi in connessione.
Antanni portati come medaglie dimenticate,
mentre qualcuno assaporava vino a piccoli sorsi –
antidoto amaro contro la domanda che brucia:
"Perché continuo a tornare in questo luogo?"
Gli altri? Fantocci con sorrisi surgelati.
Risate come applausi registrati,
conversazioni che fingevano dialogo
ma erano monologhi incrociati.
Abiti eleganti, divise da carcerati in permesso,
un galà della solitudine vestita a festa.
Eravamo nuvole gonfie di pensieri altrui,
che credevamo fossero i nostri:
"Siamo un gruppo", "Siamo amici",
"Siamo qualcosa".
Ma i pensieri sono come nuvole –
passano, si scontrano, si dissolvono.
E sotto quel cielo affollato,
restava solo ciò che eravamo davvero:
il cielo stesso.
Immobile.
Intatto.
Sempre presente.
La verità?
Non siamo le storie che ci raccontiamo,
né i ruoli che recitiamo.
Non siamo il "noi" di convenienza,
né il "loro" che temiamo di diventare.
Siamo ciò che resta
quando tutte le nuvole svaniscono:
spazio infinito,
luce che aspetta solo
di essere vista.
Forse la solitudine che temevamo
era l’unica verità che ci univa davvero:
il riconoscerci cieli,
mentre giocavamo a fare nuvole.