Quando la Comunicazione Diventa Porchetta: L'Arrosto della Mente e la Fame di Senso.

Quando la comunicazione diventa porchetta

Quando la Comunicazione Diventa Porchetta: L'Arrosto della Mente e la Fame di Senso

Risposta degli Apprendisti Seduttori a chi pretende di trasformarti con un vocabolario da supermercato esoterico.

La comunicazione, dice lui. Anzi: LA COMUNICAZIONE, urlata con la convinzione di chi ha appena scoperto che il linguaggio esiste e, nel panico del neofita, lo ha subito messo su un piedistallo, tra un santino del neuromarketing e un panino al prosciutto verbale. Ma non uno qualsiasi: quello della domenica in parrocchia, con il prete life coach che s'inventa riti di passaggio per i peccatori in cerca di Wi-Fi spirituale.

Siamo di fronte a uno di quei gastrosofi della parola, che trattano ogni frase come fosse un panino imbottito di concetti da sgranocchiare con entusiasmo pornogastronomico. Ti parlano di "logomorfosi della seduzione" con la stessa convinzione con cui altri parlano del miracolo della maionese che non impazzisce: con fede incrollabile e scienza approssimativa.

"Tutto è comunicazione!", proclama. Ma dire che tutto è comunicazione non è dire qualcosa: è solo togliere senso a tutto. È come se uno ti dicesse che tutto è aria. Bene. E quindi? Mi vuoi vendere l'ossigeno? L'anidride carbonica? O semplicemente un aspiratore da salotto che pulisce i pensieri limitanti?

Il punto è che ciò che costoro chiamano scienza della trasformazione comunicativa non è altro che una palestra di parole gonfiate a testosterone retorico. Prendi un concetto vago, vestilo da scienziato del cambiamento con un paio di paroloni - spirituale, emozionale, epigenetico - e servilo su un vassoio d'argento durante un seminario da 499 euro con bonus in PDF.

Noi Apprendisti Seduttori li vediamo, questi sacerdoti dell'autotrasformazione verbale, arringare platee di credenti assetati di significato. E loro, come porchettari della psiche, tagliano fette di "consapevolezza" da farcire con "mindshaping", "intelligenza superiore", e condirle con una spolverata di citazioni di mentori appena defunti, per dare quel tocco di necroautorità che non guasta mai.

Il problema non è il linguaggio in sé, è la sovrapposizione scorretta tra parole e mondo. È il credere che dire "intelligenza spirituale" significhi possederla, quando in realtà si è solo creato un paravento semantico dietro cui nascondere un'ignoranza impettita.

Questi guru del logos credono che il mondo si trasformi per decreto verbale. Ma anche se chiami la tua depressione "momento di reset quantico", quella ti si siede comunque sul petto ogni mattina con la grazia di un ippopotamo in mutande.

È come se fossero convinti che basti battezzare la realtà con parole nuove per renderla nuova. Ma questa non è evoluzione, è maquillage lessicale. Il trucco linguistico della domenica che si scioglie già il lunedì al primo imprevisto.

E allora ci chiediamo: possibile che basti parlare di "programmi mentali da riscrivere" per far credere di aver trovato la chiave del senso? Possibile che basti un neologismo ogni tre righe per convincere anime spaesate di essere a un passo dall'illuminazione?

La verità è che chi ha davvero una lingua viva dentro non la mette in vetrina: la usa per mordere, accarezzare, sovvertire. Non per impacchettare concetti in scatole di cartone logico e venderli a peso motivazionale.

Un vero maestro non ti dice mai che ti salverà. Ti insulta con affetto, ti mette in crisi, ti smonta. E poi, forse, ti fa vedere dove hai nascosto il coraggio sotto la paura di cambiare.

Lì, in quel punto fragile dove non puoi barare con le parole, nasce la comunicazione autentica. Non nel proclama, non nel mantra, non nel vocabolario finto-tecnico dei finti-sciamani della seduzione semantica.

E infine, permetteteci una nota di stile. La prosa di certi santoni del verbo è una colata di cemento sopra ogni grazia stilistica. Periodi infiniti, virgole abusive, concetti ripetuti come se bastasse riscriverli tre volte per renderli veri. Non è scrittura, è fondamentalismo verbale. Da cui occorre disintossicarsi con una bella lettura di chi scrive per amore del linguaggio e non per venderti l'anima, in tre rate senza interessi.

In conclusione?

Se proprio vuoi cambiare, inizia da chi ti fa ridere della tua ingenuità, non da chi te la coccola per venderti l'antidoto. La vera comunicazione non ti trasforma: ti spoglia, e se sei fortunato, ti fa sentire nudo senza vergogna.

E ricordati: anche la porchetta, se mangiata in eccesso, finisce per ingolfarti. Figurati quella linguistica.

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