La Solitudine non è una Trappola. È un Luogo da Attraversare
Qualche tempo fa, ho sentito la storia di un ragazzo che una sera, dopo l’ennesimo rifiuto da parte di un amico, si è ritrovato a casa da solo.
Aveva voglia di uscire, di compagnia, anche solo di parlare. Ma nessuno era disponibile.
E allora si è detto:
Che senso ha? Dove vado da solo? In un bar a farmi vedere come uno disperato? E poi... anche se esco, chi incontro?
Era convinto che la solitudine fosse una prigione, qualcosa da cui liberarsi il prima possibile.
Come se essere soli significasse automaticamente non valere.
E lì, un apprendista seduttore gli ha risposto.
Non con una tecnica.
Non con una frase da manuale.
Ma con una presenza diversa.
Gli ha detto:
Vai a vedere cosa succede se non ti abbandoni, anche senza compagnia.
Ma cosa vuol dire?
Non è un invito a farsi forza a tutti i costi.
Non è un “esci lo stesso, dimostra di essere forte”.
È qualcosa di più sottile.
Vuol dire:
- Smetti di giudicarti per il fatto di essere da solo.
- Smetti di cercare qualcuno solo per riempire un vuoto.
- E chiediti: posso stare con me stesso, senza scappare?”
La trappola non è la solitudine.
La trappola è il pensiero che, senza l’altro, tu non esista davvero.
Chi scappa dalla solitudine, spesso non cerca compagnia — cerca conferme.
E allora l’altro non è più una persona, ma un cerotto.
Una stampella. Un rifugio.
Ma nessun incontro autentico nasce dalla paura.
L’apprendista seduttore non ha bisogno di evitare i vuoti.
Ci entra.
Ci respira dentro.
E quando esce di casa, lo fa non per fuggire, ma per esplorare.
Può sedersi da solo in un bar,
camminare tra la gente senza cercare nessuno,
e restare presente.
Non in attesa. Non in difesa.
Presente.
Non si tratta di evitare certi luoghi. Si tratta di come ci entri.
Chi disprezza la palestra, la discoteca, il bar… spesso lo fa per proteggersi.
Dice: “Non è il mio mondo.”
Ma in realtà, dentro, sta solo cercando un modo per non sentirsi inadeguato.
Il vero apprendista non giudica.
Non cerca di sembrare superiore.
Se entra in quei luoghi, lo fa non per elemosinare conferme, né per sentirsi speciale.
Lo fa per seminare presenza.
La vera libertà non è evitare i giochi degli altri.
È entrarci senza doverci giocare.
Non esci per farti vedere.
Non resti a casa per proteggerti.
Esci quando lo senti vero.
Rimani quando ti fa bene.
E in ogni caso, non ti abbandoni.
Perché solo chi non ha bisogno dell’altro può davvero incontrarlo.
Non perché sia chiuso.
Ma perché è già pieno.
E da quella pienezza — senza strategia, senza recita — nasce qualcosa che nessuna tecnica può insegnare:
un incontro vivo.