Davide Fabbri, The Vikingo!

Davide Fabbri


Le confessioni di un Vikingo

Amico lettore, parlare di seduzione, di donne, della vita, lodando se stessi è una cosa che mi ripugna. Ho sempre pensato che chi fa non dice, e chi dice non fa. Non voglio scadere nella trappola di chi si autoproclama guru o maestro, ma piuttosto voglio condividere con te un’esperienza, un percorso che è stato mio e che ti può forse aiutare a riflettere sulla vera natura della seduzione. Quindi mentre leggi questo piccolo saggio ti chiedo di essere attento non all’avventura romantica che nasce dall’incontro di due corpi, ma al meccanismo, o meglio all’azione, che permette l’incontro di due anime.

Quello che sto per raccontare, è frutto della mia esperienza personale nell’arte amatoria, e se ne parlo in prima persona, lo faccio per poter giudicare le varie fasi di una tecnica di seduzione liberamente. È importante capire che non si tratta solo di una conquista fisica, ma di un percorso interiore che mi ha permesso di trasformarmi da un ragazzo timido a un uomo che conosce e gestisce il proprio potere attrattivo. Per imparare a volte ci si fa un po’ male, ma come diceva il vecchio Jeck: “Si impara più da un pugno preso che da dieci dati”. La vita è fatta anche di fallimenti, ma sono proprio questi a insegnarci e farci crescere.

Devi sapere che una volta ero molto timido, in più il fisico non mi aiutava… Giocavo a basket con passione e impegno, ma con scarsi risultati. Alto e magro, molto scoordinato nei movimenti, mi avevano soprannominato “stambec”, che nel dialetto romagnolo significa stambecco. Non ero mai stato il tipo di ragazzo che attirava gli sguardi, e a scuola non andava meglio. Erano gli altri a spiccare, quelli che avevano la faccia da protagonista e che sembravano naturalmente più sicuri di sé. Io, invece, ero il ragazzo che scompariva nel gruppo, che non si faceva notare, che preferiva rimanere nell’ombra, più a suo agio nei giochi di squadra che in una conversazione faccia a faccia con una ragazza.

Qui in Romagna, tutti hanno un soprannome, ed io non ero per niente fiero del mio. Ma questi vezzeggiativi li danno gli amici per un tuo merito o demerito, e ti vengono assegnati al di là del tuo volere. Quindi se in qualche modo vuoi farti rispettare o vuoi cambiare il modo in cui vieni visto, devi agire. Non basta lamentarsi del soprannome che ti è stato dato, devi fare qualcosa per cambiarlo. E la prima cosa che capii fu che non potevo più restare fermo. Dovevo muovermi, evolvermi.

Anche a scuola, le cose non andavano bene, parlo delle medie, quindi dei primi “batticuore”; di quella ragazzina molto carina che filava tutti tranne che te, e in più dovevi “pagare la mossa”, un gioco crudele che il prepotente di turno, spaventandoti con una finta, ti dava poi un pugno sulla spalla o una ginocchiata sulla coscia (il terribile “lopez”), perché, ironia della sorte, ti eri mosso. Questi piccoli giochi di potere, questi momenti di imbarazzo, formavano una parte fondamentale della mia crescita. Ogni singolo pugno, ogni sberla ricevuta mi ha insegnato qualcosa, anche se all'epoca non lo capivo.

Per giunta, tutto questo accadeva davanti a lei, la ragazza dei tuoi sogni, la bambolina che, se ti chiedeva di dargli l’orario definitivo delle lezioni, le rispondevi balbettando, dandoglielo poi tutto bagnato per colpa delle tue mani vergognosamente sudate. Quel tipo di situazioni mi facevano sentire piccolo, incapace e irrilevante. Ma mentre tutto sembrava oppormi, c'era una parte di me che cominciava a svegliarsi e chiedersi: "Che cosa posso fare per non sentirmi più così?".

Pensare che nei miei sogni di adolescente c’erano mille avventure, dove naturalmente interpretavo l’eroe che la salvava e dove il più cattivo dei cattivi aveva la faccia di quello che mi faceva “pagare la mossa”. Questi sogni erano la mia via di fuga, il mio rifugio, ma sapevo che non sarebbero mai diventati realtà se non fossi riuscito a cambiare me stesso.

Le domeniche pomeriggio andavo al cinema a cercare conforto nel mio amico dagli occhi a mandorla, il mitico Bruce Lee. Con lui vedevo tutto possibile. Ogni calciatore, ogni lottatore, ogni eroe era una fonte di ispirazione. Ogni volta che vedevo lui, mi sentivo come se il mondo fosse in grado di essere vinto, e quella forza interiore che Bruce Lee rappresentava mi dava la motivazione per alzarmi e fare qualcosa di concreto.

Così, tornavo a casa saltando, e calciando, e non mi sentivo più tanto scoordinato, ero forse cambiato? No, era una semplice illusione, dettata dall’emozione del film dove i cattivi erano stati puniti e si poteva finalmente baciare l’amata. Ma ogni volta che tornavo alla realtà, mi rendevo conto che la vita non era un film e che dovevo fare qualcosa di concreto per cambiare la mia condizione. La realtà era tristemente diversa, lui, la baciava liberamente davanti ai miei occhi e continuava a farmi “pagare la mossa” davanti a tutti.

Poi, finalmente, è iniziato in maniera travolgente un cambiamento irreversibile. Ho capito che non sarebbe bastato continuare a sognare o a guardare film per cambiare la mia realtà. Dovevo agire, fare qualcosa di reale, concreto, per iniziare a vedere i cambiamenti.

Forse una trasformazione ormonale ha rafforzato il mio essere, dai quattordici ai sedici anni ci passa un mondo, ma di una cosa ho l’assoluta certezza, ho cavalcato quella trasformazione con la voglia di migliorare la mia vita con l’azione, con quell’agire quotidiano e costante che ha trasformato lo “stambec” nel “Vikingo” della Romagna.

Continuavo a guardare il mio amato Bruce Lee ma mi ero anche iscritto a un corso di karatè, alle feste di classe stavo ancora seduto in disparte, ma mi ero iscritto a una scuola di ballo preparando la mia rivincita e poi stava entrando un nuovo amore nella mia vita, il mitico Arnold Schwarzenegger. Guardando loro, avevo capito che il segreto era agire, agire, agire. Ogni passo che facevo mi avvicinava alla persona che volevo diventare.

Come direbbe Emanuel Kant: “diventa ciò che sei!” Questo è stato il mio mantra. Se avessi continuato a lamentarmi, a restare fermo, non sarei mai riuscito a diventare l'uomo che sono oggi.

Insomma guardando indietro, se devo dire da quando ho incominciato ad essere un buon seduttore, mi viene da pensare alla prima persona che ho conquistato e che ho imparato ad amare nonostante i difetti e che sempre porto nel cuore: me stesso. Questo è stato il mio primo vero passo, prima di conquistare qualcun altro, ho dovuto conquistare me stesso.

-Tratto dal video "Le Mie Prime Esperienze" di Davide The Vikingo-

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