Le mie confessioni al neon: anatomia di un ego a puttane
La prima volta che mi sono messo in vetrina, non c’era nessuno a guardare
La prima cosa che ho imparato, senza che nessuno me lo insegnasse davvero, è che piacere è sopravvivere.
In un mondo in cui tutti sembrano avere già un posto, un ruolo, una risposta pronta, io avevo solo una domanda che mi girava in testa come un mantra segreto:
"Mi vedi?"
Ma nessuno te lo dice così. Ti parlano di fascino, carisma, “energia maschile”, strategie di seduzione rubate da podcast o da manuali per dominatori emozionali.
A me non interessava dominare. Io volevo essere riconosciuto.
Non acclamato.
Guardato.
Anche solo per un secondo, magari di sbieco, magari per sbaglio — ma visto abbastanza da non sentirmi invisibile.
Avevo diciotto anni e una fame addosso che non era solo fame di sesso, anche se il sesso sembrava una scorciatoia.
Era fame di specchio.
Volevo riflessi. Volevo rimbalzi di luce negli occhi di qualcun altro.
Qualcosa che mi dicesse che esistere non era un errore.
L'inizio della finzione
Facevo cose.
Stupide, probabilmente.
Di notte scrivevo messaggi finti a ragazze che non avrei mai avuto il coraggio di avvicinare davvero.
Immaginavo conversazioni perfette, baci rubati in angoli bui, frasi dette al momento giusto con lo sguardo un po’ basso e un po’ sicuro.
Di giorno invece fingevo il contrario:
facevo il distaccato, quello che “le donne le capisce”.
Ma bastava un “ciao” un po’ più dolce, un tocco sul braccio, un sorriso appena accennato…
e diventavo uno schiavo d’affetto, un pupazzo addestrato che implorava una carezza.
Mi accorgevo di trasformarmi.
Più recitavo, più mi applaudivano.
Più mi applaudivano, più mi sentivo drenato.
La seduzione, per me, non è mai stata un gioco.
Era una richiesta d’aiuto mal camuffata.
Sorridere per essere accettato.
Toccare per non essere abbandonato.
Parlare per distrarre dall’ansia di essere dimenticato.
La prima volta che ha funzionato
Un giorno ha funzionato.
Una ragazza mi ha guardato più a lungo del solito.
Non era niente di speciale, ma per me fu un miracolo.
Avevo fatto qualcosa di giusto.
Avevo detto qualcosa con il tono giusto, avevo messo i vestiti giusti, avevo stretto le labbra nel modo giusto.
Ero piaciuto.
O meglio: sembrava che fossi piaciuto.
Così ho iniziato a farlo apposta.
A studiare i sorrisi.
A calibrare i messaggi, a scegliere le parole come se fossero proiettili da lanciare con cura.
Ho iniziato a vendermi.
Non per soldi — quelli sono arrivati più tardi, in altre forme.
Mi vendevo per un po’ di attenzione, per un messaggio alle tre di notte, per una carezza lunga tre ore,
per la sensazione illusoria che qualcuno potesse volermi davvero.
L’ego ingrassa, ma tu scompari
Ogni volta che funzionava, il mio ego ingrassava.
Si sentiva potente, irresistibile, indispensabile per il mondo.
Eppure, qualcosa dentro si assottigliava.
Sparivo.
Più mi facevo vedere, più mi sentivo lontano da me stesso.
Più ottenevo attenzioni, più perdevo il senso di cosa volessi davvero.
Ogni sorriso rubato era una scossa, ma anche un rimando a una verità che non volevo guardare:
che non ero lì per amare.
Ero lì per sopravvivere.
Mi nutrivo di attenzioni tossiche, come un affamato che trova solo dolci scadenti: ti danno l’illusione di sazietà, ma dentro ti lasciano vuoto.
Quando l’applauso finisce
E poi succedeva che l’applauso finiva.
Magari lei non rispondeva.
Magari non era mai veramente interessata.
Magari ero solo un’altra notifica da aprire e archiviare.
E allora io crollavo.
Tornavo a casa e mi guardavo allo specchio.
E mi chiedevo:
"Chi stai diventando?"
Non ero più il ragazzo che voleva amare.
Ero quello che voleva essere desiderato per sopravvivere.
Non ci fu un crollo spettacolare.
Non ci furono lacrime o urla.
Solo un silenzio lungo.
Un respiro trattenuto davanti al riflesso.
E il dubbio:
“Se smetto di fingere, mi guarderà ancora qualcuno?”
L’ego è un palcoscenico. Ma tu dove sei?
La seduzione non è un trucco, è una trappola —
quando diventa il tuo unico modo per sentire di avere un valore.
Per me è stato così.
Ero un apprendista seduttore, ma in realtà un attore disperato, in cerca di conferme che non arrivavano mai davvero.
Oggi, ogni volta che sento il bisogno di piacere…
Mi fermo.
E mi chiedo:
“Mi sto mostrando, o mi sto perdendo?”